Everybody lives

Richiamato per risollevare Doctor Who dall’abisso in cui l’avevano precipitato le ultime gestioni, Russel T. Davies torna portandosi dietro i suoi campioni, Catherine Tate e soprattutto David Tennant. Il risultato sono tre special, tra cui un piccolo capolavoro, Wild Blue Yonder.

Una volta riavuto il suo Dottore però RTD non lo lascia più andare, e s’inventa la bi-generazione per farlo sopravvivere all’nevitabile arrivo del nuovo Dottore, parcheggiandolo poi a casa di Donna, in attesa del prossimo special. Dfficile dispiacersene, purché l’Everybody Lives non divent la cifra – Disney – della nuova gestione.

La Dottoressa Giò

Il flop della passata stagione ha spinto Chris Chibnall, attuale showrunner di Doctor Who, a rinunciare al tentativo d’imitare Russel T. Davies, e cominciare ad imitare Steven Moffat, con una Thirteen che non è più la copia sbiadita di Ten, ma di Eleven, un Master ridicolo che si crede Zoolander, e un retcon demenziale che demolisce la mitologia della serie dalle fondamenta, declassando il personaggio del Dottore da Timelord ribelle a Principessa Segreta, classico trope sessista ed eugenetico che fa derivare la rilevanza d’un personaggio femminile dalle sue ascendenze biologiche.

Chris Chibnall non è riuscito come sperava ad eguagliare Russell T. Davies. Però è riuscito a superare Moffat.
In peggio.

Mutazioni

Better Call Saul è diventato come il video d’una telecamera di sorveglianza: 3 minuti di azione su 10 ore di filmato.
Per fortuna il season finale Winner vale da solo tutta la quarta stagione.

La mutazione subita da Z Nation invece è terminale. Quella che era una serie visionaria e beffarda è stata trasformata in un pippone sul dovere morale di precipiitarsi a voare Partito Democratico nelle elezioni USA di mid-term.

Il politically correct ha preso il sopravvento su qualsiasi altra cosa anche nel nuovo Doctor Who di Chris Chibnall. Ogni episodio ha un’esplicita morale “progressista”, e un’esplicita presa in giro di Donald Trump.
Dal punto di vista strettamente creativo, Chibnall s’è finora dimostrato un Russell T. Davies in sedicesimo: filosofia simile, ma talento notevolmente inferiore.
Solare e un po’ pazza, la sua Thirteen è infatti una versione semplificata di Ten, senza lati oscuri, senza misteri, senza difetti. Un Ten light.
Jodie Wittaker, la prima donna a interpretare il ruolo del Dottore, avrebbe meritato un personaggio più originale della versione analcolica d’un suo predecessore.

Sipario

L’era Moffat di Doctor Who s’è finalmente conclusa, not with a bang, ma con l’ennesimo loffio pippone, nel quale Twelve in punto di morte ha di nuovo declamato ciò che dovrebbe essere il Dottore anziché dimostrarlo; e con l’inutile, deprimente evocazione d’una serie di fantasmi, Bill, Nardole, l’immancabile Clara circonfusa di luce, e One, il Primo Dottore, purtroppo ridotto a una macchietta da teatro dialettale.

Thirteen ha quindi simbolicamente cominciato la sua vita e la sua avventura precipitando nel vuoto: a Chris Chibnall infatti tocca adesso il gravoso compito di risollevare la serie e il personaggio dallo strapiombo nel quale l’arrogante incompetenza di Moffat li ha precipitati.

La scelta del killer

Boomtown di Russell T. Davies (Doctor Who, 2005) suggerisce un’intuizione geniale e inquietante: i carnefici di massa, i burocrati dello sterminio, quando scelgono occasionalmente qualcuno da risparmiare usano all’inverso gli stessi criteri soggettivi e arbitrari adoperati dai serial killer per scegliere le loro vittime. Il colore dei capelli, degli occhi, un sorriso, uno sguardo, un incontro casuale con il carnefice che finisce per decidere il destino della vittima: sommersa o salvata.

Corrado (Paolo Pierobon) protagonista de L’ordine delle cose di Andrea Segre (2017) che ne sia più o meno consapevole, è un carnefice di massa, un burocrate dello sterminio, abituato alla disumanizzazione sistematica delle vittime, che per lui devono restare solo numeri. Un incontro casuale, e un attimo d’empatia imprevista decideranno quale vittima del lager cercherà di risparmiare, solo per un attimo, prima di riconsegnarla all’ordine delle cose. 

Carta dei Diritti del Telespettatore Seriale

Il telespettatore seriale ha diritto a:

1) Piantare una serie a metà o in qualsiasi altro punto, saltare episodi, guardarli in ordine sparso, ignorare tutte le stagioni precedenti e/o successive a ciò che lo interessa, senza essere accusato da nessuno di non essere un “vero fan”.

2) Ignorare e/o non considerare parte del canone gli sviluppi della trama che ritiene scritti male, out of character, e/o in contrasto con il resto della mitologia della serie.

3) Amare appassionatamente/odiare a morte uno o più personaggi della serie anche se non hanno fatto assolutamente niente per “meritarselo”.

4) Disprezzare gli autori e/o gli interpreti della serie, pur apprezzando i personaggi che scrivono/interpretano, o viceversa.

5) Considerare espliciti elementi impliciti della psicologia dei personaggi che gli autori non hanno la capacità o la possibilità di rendere espliciti.

6) Inventare spiegazioni per le incongruenze della serie che gli autori non hanno la capacità o la possibilità di spiegare.

7) Scrivere fanfic della serie, sia che segua il canone, sia che lo sovverta completamente.

8) Seguire la serie per un solo personaggio/interprete, per un solo elemento della trama, o anche soltanto per criticarla, scriverne male, perculare il cast e/o gli autori.

9) Ignorare in tutto o in parte il resto del fandom della serie, e non interagire con nessuna delle sue iniziative.

10) Ignorare tutte le serie considerate più cool e di tendenza, e guardare invece repliche di Spazio 1999.

About Time

Jodie Whittaker sarà la prima donna a interpretare il ruolo del Dottore.
L’era Chibnall di Doctor Who si apre con un segnale di discontinuità e rinnovamento, cose delle quali la serie ha un disperato bisogno.
Una scelta apprezzabile e coraggiosa in sé, la cui effettiva riuscita narrativa però dipenderà dalla qualità dell’esecuzione.

È fondamentale che il Dottore non diventi una Dottoressa nel modo grottesco e intrinsecamente sessista nel quale il Master era diventato Missy.
È ragionevole sperare che non succederà, perché per fortuna alla scrivania dello showrunner finalmente non ci sarà più Moffat.

The Doctor Fails

Cominciata col maldestro tentativo di imitare la formula del precedente showrunner Russell T. Davies, l’ultima stagione dell’era Moffat di Doctor Who è proseguita con un’avvilente serie di pessime copie di episodi precedenti, che tentavano di riprodurne la lettera, fallendo miseramente nel coglierne lo spirito.

Purtroppo però il peggior fallimento è stato riportare in scena il Master di John Simm azzerandone completamente la complessità e l’umanità, per ridurlo a una specie di spalla ottusa e stizzosa per l’insopportabile birignao di Missy, e defraudarlo della stupenda uscita di scena di The End of Time.

Il pippone autocelebrativo di Twelve su quanto sia gentile a sacrificarsi per i coloni sull’astronave ha poi dimostrato come Moffat non capisca la differenza fra scrivere DI un personaggio, e scrivere PER un personaggio.
È vero, il Dottore aiuta il prossimo per gentilezza e senso di giustizia, ma è cosa diversa farglielo proclamare ad alta voce.
È come se Gino Strada si mettesse a dire di se stesso “Guardatemi, potrei fare miliardi con la chirurgia plastica, e invece sto al fronte a ricucire le panze ai pezzenti, SONO UN SANTO!”

La stagione s’è chiusa con la replica per Bill dell’happy ending di Clara, l’imitazione di Twelve dell’iconico addio di Ten, e il preoccupante annuncio che nel suo ultimo episodio, lo special di Natale, Moffat cercherà ancora una volta d’inserirsi nella storia passata della serie per riscriverla – e rovinarla – a sua immagine.