Le prime due stagioni di Being Human UK sono un ottimo esempio di narrativa fantastica capace di affrontare con apparente leggerezza temi fondamentali come la differenza fra ciò che è considerato mostruoso – la diversità – e ciò che lo è davvero – la demonizzazione e la persecuzione della diversità.
Il conflitto fra “norma” ed “eccezione” si svolge sia nella società che all’interno della psiche dei personaggi. La chemistry fra gli interpreti rende ancora più credibile e coinvolgente l’amicizia fra i protagonisti, Mitchell (Aidan Turner) un vampiro che cerca di liberarsi dalla dipendenza da sangue, George (Russell Tovey) un lupo nerd che non riesce ad accettare il suo lato oscuro, e Annie (Lenora Crichlow) una fantasma che scopre quanto fosse falsa la vita normale alla quale aspirava.
La complicità fra polizia corrotta e vampiri è poi chiaramente ispirata a quella con la criminalità organizzata. Herrick (Jason Watkins) il nefasto vampiro maker di Mitchell è contemporaneamente ufficiale di polizia e leader dei vampiri locali.
Il finale della seconda stagione è memorabile.
Dalla terza stagione in poi però la serie comincia ad andare a puttane.
Spoiler
Lo story arc della terza stagione è l’epitome dell’Idiot plot: Annie, George, e la compagna Nina ritrovano Herrick apparentemente smemorato, e se lo mettono in casa. Gli credono. Si fidano di lui. Impediscono a Mitchell di sbarazzarsene. Denunciano Mitchell. Lo fanno trascinare in galera, dove rischia d’essere vivisezionato.
E alla fine lo ammazzano.
Con amici così, chi ha bisogno di nemici?
Il plot della quarta stagione è persino peggiore. Tutta la storia consiste nel proteggere ad ogni costo una neonata, figlia orfana di George e Nina, che però per salvare il mondo in realtà dovrà essere uccisa.
Per quale motivo? Non si sa. Essenzialmente perché lo dice Mark Gatiss.
“Attenti a non buttare il bambino con l’acqua sporca. Buttate solo il bambino”.
Finito di sterminare l’ottimo cast originale, la serie introduce un nuovo trio completamente insignificante, col Fante di Coppe di Once Upon a Time immeritatamente promosso a protagonista, e cerca di ricreare la dinamica delle prime stagioni fallendo miseramente, mentre nella quinta ed ultima il plot deraglia sul soprannaturale più trito, banale, manicheo, convenzionale e moralista.
Il premio finale per il trio di cialtroni sarà infatti la normalizzazione, in un assurdo Happy Ending che capovolge completamente il senso originario della serie.
Nemmeno lo sgangherato remake USA è riuscito a fare di peggio.