Saulplesse

Dopo una prima stagione perfetta, che in fondo diceva già tutto il necessario sull’origin story di Saul Goodman come criminal lawyer, Better Call Saul ha passato due stagioni in souplesse, diluendo il concetto, e cercando di condire il brodo allungato col ritorno di altri personaggi iconici di Breaking Bad, amministrato però con la stessa esasperante lentezza, che l’elegante maestria della recitazione, della regia e della fotografia non giustifica.

Se la trasformazione di Walter White è stata una progressione inesorabile perfettamente scandita, quella di Jimmy è una specie di mambo impacciato, un passo avanti, uno indietro, una giravolta, e arrivederci all’anno prossimo col prevedibilissimo suicidio di Chuck, espediente convenzionale quanto deludente per spingere Jimmy verso Saul Goodman sulla strada d’una narrativa altrimenti incagliata.

È stato troppo aspettarsi due capolavori consecutivi dallo stesso team creativo, o c’è ancora tempo per correggere il passo?
The jury is still out.

Breaking Saul

La prima stagione di Better Call Saul è un capolavoro. Per certi versi persino superiore alla prima di Breaking Bad.
Può sembrare una black comedy all’inizio, in realtà è uno stupendo noir, malinconico e spietato.
Bob Odenkirk è assolutamente straordinario anche come attore drammatico. Il suo Bingo monologue del season finale è un indimenticabile instant classic. Anche Jonathan Banks giganteggia, e ha un intero magistrale episodio dedicato alla tragica backstory di Mike.
Vince Gilligan e Peter Gould hanno saputo scegliere attori non soltanto di eccezionale talento, manche capaci di diventare di fatto co-autori dei personaggi che interpretano.
Better Call Saul è una serie praticamente perfetta da ogni punto di vista, compreso quello tecnico e visuale, elegantissimo, e ispirato ai classici anni ’40.

Jimmy McGill/Saul Goodman non è mai stato un comedy relief, la sua preziosa consulenza è fondamentale per l’ascesa di Walter White, e il suo geniale, implacabile sarcasmo ha sempre suggerito una complessità di carattere astutamente dissimulata.
In Better Call Saul, prequel-spinoff di Breaking Bad, Vince Gilligan e Peter Gould lo svelano come uno dei personaggi più drammatici dell’intero universo narrativo.
2002: Jimmy McGill ha uno straordinario talento affabulatorio in grado all’occorrenza anche di salvargli la vita, però, dopo un passato di piccole truffe col nick di Slippin’ Jimmy, ha deciso di metterlo al servizio della legge, nonostante l’ambiente legale ”rispettabile” continui a sbattergli la porta in faccia, e i suoi stessi clienti, Mike compreso, lo trattino da criminale.
Jimmy però persevera, interessato soprattutto all’approvazione del fratello maggiore Chuck, che considera un esempio di rettitudine.
La sua stima però è tragicamente mal riposta.
Il terribile tradimento subito da parte di Chuck dimostra crudelmente a Jimmy ciò che Mike sa già molto bene: il confine tra legale e illegale (sottolineati da toni opposti di blu e rosso) non coincide affatto con quello tra giusto e sbagliato.
Il rigido legalitario Chuck è in realtà l’autentico main villain, e le sue motivazioni sono persino peggiori dell’arroganza classista del collega e socio avvocato Hamlin: Chuck è intensamente invidioso del talento del fratello come Salieri di Mozart in Amadeus.
Mentre è il duro killer Mike quello dal codice etico più solido.

Il catalizzatore che innesca la trasformazione di Jimmy in Saul è però la morte di Marco, suo vecchio complice e amico.
Nel suo piccolo, Marco muore come Walter White: facendo ciò che lo fa sentire vivo.
Così anche Jimmy alla fine sceglierà ciò che lo fa sentire vivo. Sceglierà di  regnare all’inferno, di diventare se stesso: non un semplice avvocato, ma neanche un semplice criminale, né Jimmy McGill, né Slippin’ Jimmy, ma la fusione alchemica e l’evoluzione dei due in qualcosa di nuovo che è più della somma delle sue parti: Saul Goodman. Criminal lawyer. 
Rosso più blu: Deep Purple. Smoke on the water, fire in the sky.
Una scelta consapevole sulla quale, al contrario di Walter White, Saul non mentirà mai a se stesso.

Better Know Saul

Saul-Mike (2)In Full Measure, lo stupendo finale della terza stagione di Breaking Bad, vediamo Mike interrogare Saul per scoprire dove si nasconda Jesse.
Mike incombe minaccioso su Saul, ma è evidente che potrebbe andarci molto più pesante di quanto non faccia. L’impressione è che sia pronto a pestarlo se necessario, perché quello è il suo lavoro, ma che la cosa non gli piacerebbe. Infatti coglie la prima occasione che Saul gli offre per credergli e andarsene senza indagare oltre, risparmiandolo.
Questa scena è stata scritta e girata quattro anni prima che a qualcuno venisse  in mente che i due avrebbero in futuro potuto condividere uno spin-off, eppure con quello spin-off, cioè lo straordinario Better Call Saul, risulta perfettamente coerente.

Saul-Mike (1)A Mike non piace l’idea di pestare Saul non tanto perché sia il suo avvocato, ma perché Mike ha conosciuto Jimmy McGill.
Saul però non è più Jimmy McGill.
Mike sbaglia a credergli, e questo sbaglio sarà la salvezza per Jesse, e la morte per Gale.

Saul e il Presidente

Better-Call-Saul.jpg“Innanzitutto vorrei ringraziarvi, mi lusinga molto, dal punto di vista umano e professionale, il fatto che abbiate richiesto la mia consulenza in questo momento così difficile per il vostro paese, il presidente della Repubblica e l’ex presidente del Senato intercettati nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa Stato-Mafia. Signori presidenti, intendo impegnarmi subito per aiutarvi ad uscire da questa situazione di così grave imbarazzo per le vostre istituzioni più alte, garanti della Costituzione e della legalità democratica.

Consentitemi di chiedere: ma che cazzo di telefoni avete usato? Come avete fatto a farvi beccare? Ditemi che non era il fisso, perché sarebbe stato meglio usare direttamente il messaggio a reti unificate della notte di Capodanno: ”Auspico una pronta ripresa per l’economia, e rassicuro l’amico senatore: ehi Lefty, tranquillo, te lo copro io il culo!”
Dunque, regola prima: usare solo cellulari, e cambiarli spesso, l’ideale sarebbe buttarli ogni volta, tanto ve lo potete permettere, no? Potreste permettervelo anche con le automobili. E le case. Ripeto: solo cellulari usa e getta, niente smartphone, tablet, notebook, e ovviamente niente fisso. Non posso attribuire il vostro errore all’inesperienza. Piuttosto, alla pericolosa sensazione d’impunità che possono dare il potere e il successo, l’essere arrivati al top del business, l’esserci rimasti troppo tempo. Lo capisco, so che quaggiù è il vostro regno da più di mezzo secolo, ma credetemi, non si può mai essere sicuri al 100%. Regola prima… l’ho già detta? Ok, regola zero, prima della prima: mai abbassare la guardia

Veniamo al merito dell’inchiesta: ”Trattativa Stato-Mafia”, ho bisogno dei particolari, trattativa su cosa, sul prezzo? Sul territorio? Fatemi controllare le carte… vedo che tutta la diatriba è cominciata per le condanne d’un maxiprocesso. Beh, avreste fatto meglio a chiamare me fin dall’inizio. Se me ne fossi occupato io, non ci sarebbero state condanne, e tutto sarebbe filato liscio fra voi, come sempre dovrebbe essere fra soci in affari. La Storia del vostro paese sarebbe stata diversa. Ma è inutile piangere sul latte versato, se non serve a ottenere un risarcimento. Quindi torniamo a quel che è successo: i maxicondannati hanno impallinato l’uomo del Gobbo, e Lefty ha temuto che sarebbe stato il prossimo. Così vi siete messi a trattare. Gli integralisti contrari al dialogo sono stati eliminati. In un modo o nell’altro. Il codice penale è stato aggiornato con una serie di patch per evitare che si ripetesse il maxicrash. E alla fine avete raggiunto un nuovo accordo. Mi pare ragionevole. Da voi è andata meglio che in Bosnia.

Questa è tutta la storia? Ok, scordatevela, perché dobbiamo raccontarne una completamente diversa. Una bellissima storia di Poteri Occulti che vi calunniano per minare le Istituzioni Democratiche. Sì, lo so che i ”poteri occulti” siete voi e i vostri soci, ma a questo la gente non deve pensare, deve sempre credere che il potere sia altrove, su una qualche astronave madre rettiliana nascosta su Urano. Come dicevo a uno dei miei migliori clienti, puoi far credere qualsiasi cosa a chiunque, se sei capace di crederci tu per primo. Lui è bravissimo in questo. Scommetto che lo siete anche voi”.

Pubblicato su Carmilla il 3 settembre 2012

La cucina dell’inferno

saulIn Breaking Bad non ci sono storyline secondarie inutili, irritanti, o irrisolte, c’è solo il plot principale in cui tutto confluisce con una coerenza implacabile. È puro come la meth di Walt.
Breaking Bad però è capace ad ogni stagione anche di creare nuovi personaggi (non) secondari perfetti, come il Disappearer di Granite State, rude, malinconico, degno di Hammet quasi quanto Mike, indimenticabile maestro jedi della filosofia hard boiled; e antagonisti che emergono lentamente dallo sfondo fino a rivelarsi in tutta la loro grandezza come il maestoso Gus Fring, o in tutto il loro orrore, come Todd, una perfetta incarnazione dell’essenza, della radice ontologica del nazismo. Per Todd ci sono vite umane di serie A (Walter, perché un genio della chimica) e vite umane di serie Z (la maggior parte) che può spegnere senza nessuna emozione, come pigiare un interruttore.

In Granite State abbiamo salutato il principe dei recurring, Saul Goodman, affabulatore irresistibile, e insieme unico personaggio della serie completamente sincero con se stesso. Prima di partire per il suo purgatorio, Saul ha consigliato ancora una volta a Walt la via d’uscita più ragionevole. Ancora una volta inutilmente. Se il motore delle azioni di Walter White è l’orgoglio, il carburante è l’adrenalina. Walt è dipendente dal rischio quasi quanto dal potere. Infatti, in Gliding Over All, quando cucinare diventa sicuro, noioso come una routine lavorativa, Walter smette. E (inconsciamente) rimette Hank sulle sue tracce, lasciando in giro il libro regalatogli da Gale, come in Shotgun l’aveva fatto convincendo Hank che Gale non potesse essere Heisenberg.
Walter ha scelto di regnare all’inferno non solo perché lo preferisca al servire in paradiso, ma anche perché in fondo è proprio all’inferno che gli piace regnare.

Il Trono di Cristallo

A tutti gli effetti una delle migliori serie della storia della Tv, se non la migliore, Breaking Bad di Vince Gilligan è discendente legittimo della grande e multiforme tradizione del noir USA che va da Dashiell Hammet a Pulp Fiction, a cui aggiunge un’inesorabile progressione narrativa da tragedia shakespeariana, gemme di feroce black comedy, e un geniale intreccio dalla tessitura cristallina nella quale tutti i dettagli combaciano con spietata perfezione, nessun particolare è casuale, e tutte le Cechov gun centrano il bersaglio.
Perfetto a ogni livello, dalla sceneggiatura che dimostra un’autentica pianificazione multi-stagionale; alla regia la cui mirabile eleganza visuale è sempre al servizio dell’efficacia narrativa; alla maestria di tutti gli interpreti, dallo straordinario Bryan Cranston, il protagonista Walter White, ai recurring come Bob Odenkirk, l’irresistibile affabulatore Saul Goodman; alla colonna sonora impeccabile per qualità e pertinenza; alla stupenda fotografia del miglior livello cinematografico, che si fa parte integrante della narrazione passando dai toni dominanti verde acido e giallo sabbia delle prime stagioni, ai colori accesi del tramonto nella terza, al cupo rosso sangue della quarta, al nero che domina la quinta, sempre in contrappunto con l’azzurro gelido della crystal meth di Walt.

Vince Gilligan viene dagli X Files, come producer e autore di alcuni dei migliori episodi standalone: “Pusher”, ”Soft Light”, gli horror “Leonard Betts” e “Folie à Deux”, il dickiano ”Field Trip”, e l’ottimo road thriller ”Drive”, interpretato da un giovane Bryan Cranston originariamente convocato per un altro ruolo, ma poi dimostratosi perfetto per quello del protagonista: un uomo in fuga letteralmente sul punto di esplodere. Dieci anni dopo quell’episodio, Gilligan scrive il pilot di Breaking Bad pensando proprio a Cranston per il suo Mr. White/Heisenberg, il prof di chimica che si scopre capace di scalare la vetta del crimine organizzato.
La carriera di Bryan Cranston ironicamente sembra rispecchiare l’ascesa di Walter White: una vita di ruoli minori e sit-com, e poi a cinquant’anni improvvisamente l’occasione per scatenare un immenso talento, unico per intensità, versatilità e carisma, abbastanza da proiettarlo direttamente fra i più grandi di sempre. Al suo fianco, un cast di co-protagonisti e antagonisti eccezionali, a cominciare da Aaron Paul, perfetto nel ruolo complesso dell’instabile giovane complice, quel Jesse Pinkman al quale Mr. White continua a salvare e rovinare la vita in un rapporto di ambivalente interdipendenza che, grazie anche alla perfetta chemistry fra Cranston e Paul, è il fulcro relazionale di Breaking Bad. Nelle passate stagioni la magistrale interpretazione di Giancarlo Esposito ha reso l’indimenticabile Gus Fring uno dei migliori villain di tutti i tempi; quest’anno il veterano Jonathan Banks sta facendo del suo killer/cleaner professionista Mike Ehrmantraut uno stupendo concentrato di filosofia hard boiled. Dean Norris continua efficacemente a svelare la fragilità e la complessità nascoste sotto la vernice poliziottesca di Hank, e Anna Gunn aggiunge nuovo spessore drammatico al personaggio di Skyler, la moglie di Walt, che attraverso le sue reazioni ai vari stadi della carriera del marito, rappresenta anche la reazione della società al crimine: condanna per il piccolo delinquente, collusione col medio – specialmente nei reati finanziari – sgomenta impotenza di fronte al boss stragista.

Nella sua turbolenta e sanguinosa ascesa/discesa da prof fantozziano a re del narcotraffico, Walter White ha affrontato e sconfitto ogni boss di livello, fino a diventare lui stesso il boss di livello, e uno dei più sinistri, nella sua apparente normalità. Un passo dopo l’altro, un omicidio dopo l’altro, Mr. White ha svelato il suo vero volto, è diventato se stesso .
Breaking Bad rivela tutta la violenza repressa che può nascondersi nell’uomo della porta accanto, e la spirale di crimini che sia capace di commettere e giustificare in nome dell’autodifesa, e di quel ”bene della famiglia” che è la maschera delle sue reali motivazioni: la sua sete di rivalsa, di potere, d’autoaffermazione. Walter White però non è un personaggio che possiamo comodamente giudicare dall’esterno, è un uomo tormentato nel quale Breaking Bad ci porta inesorabilmente a identificarci fin dall’inizio, quindi il viaggio all’interno del suo cuore di tenebra diventa anche un percorso di riconoscimento del nostro inner Heisenberg. Fino a che punto siamo ancora con Walt, e perché?
Forse perché è spesso diabolicamente geniale benché a volte terribilmente sprovveduto, e la sua è anche la rivincita del nerd. Forse perché, nonostante tutto, pensiamo che la sua umanità non sia morta, ma solo in disparte, dove prima si nascondeva il suo lato oscuro.
O forse queste sono solo razionalizzazioni, come quelle accampate dallo stesso Walt. E in realtà, se siamo ancora con lui è perché incarna quella parte di noi che pensa sia meglio regnare all’inferno che servire in paradiso.
Breaking Bad però ci ricorda che il trono dell’inferno è fatto di cristallo.
E che quel cristallo non è meth.

Pubblicato su Carmilla il 13 agosto 2012